LA CLOROSI FERRICA DELLA VITE

Nei terreni ricchi di calcare, la comparsa in primavera dei noti ingiallimenti dovuti alla clorosi ferrica è pressoché ricorrente. Questa manifestazione si presenta con diversa intensità in relazione alle annate, poiché per essa concorrono numerosi fattori ambientali, colturali e climatici.

L’ambiente, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche e chimiche del suolo e quelle delle piante (portinnesto e varietà coltivata) è per il vigneto un elemento costante, su cui è possibile, solo al momento dell’impianto, influire in parte. Quando il vigneto è in produzione, tali elementi non sono ovviamente più modificabili. La comparsa della sofferenza coinvolge, pertanto, con maggiore frequenza sempre gli stessi appezzamenti vitati. Tutto questo espleta effetti negativi, poiché tale mancanza di nutrimento accentua progressivamente negli anni le difformità tra le viti.

La sofferenza progressiva

Il ferro è un elemento importante per le piante siccome partecipa al complesso di reazioni chimiche per la formazione della clorofilla. La clorofilla, a sua volta, è fondamentale per le attività di sintesi che le piante compiono. Le viti in difficoltà sono pertanto povere di sostanze di riserva nelle quali i processi di formazione del legno avvengono in modo stentato. Ogni anno la debolezza aumenta, poiché il passaggio tra due successive stagioni vegetative avviene proprio attraverso la mobilitazione delle sostanze di riserva accumulate.

Anche la predisposizione al patimento cresce così progressivamente, fino al momento in cui le piante non potranno più essere recuperate e incominceranno a morire. A quel punto, il vigneto sarà interamente rovinato.

Come fare? Purtroppo le scelte effettuate all’impianto non si possono più correggere, pertanto, un vigneto in cui l’ingiallimento delle foglie in primavera è frequente sarà sempre incline a questo patimento. Forse, ancora troppo poca attenzione è posta nella scelta del corretto abbinamento tra suolo, portinnesto e vitigno. Operando correttamente, è infatti possibile in quasi tutte le realtà ridurre la predisposizione indotta dalle caratteristiche del terreno.

Il clima

L’andamento climatico stagionale acquisisce un ruolo decisivo per la maggiore o minore comparsa della clorosi ferrica. Si può ad esempio verificare la combinazione di un germogliamento regolare in primavera, seguito da un periodo di prolungata piovosità, confluente, a sua volta, nell’arrivo dell’alta temperatura propria della primavera avanzata. In questo caso, si rileva che il terreno saturo d’acqua non è favorevole all’intensa attività radicale che la pianta richiede nel momento in cui i germogli si accrescono rapidamente. Il prevedere la sofferenza è pertanto facile, sapendo che le piante, per la loro fenologia e le caratteristiche della stagione che si evolve verso l’estate, saranno sollecitate a ritmi di crescita elevati.

La coltivazione

Le pratiche colturali, che si effettuano in questo periodo, sono in grado di influenzare l’intensità dei sintomi. Essendo il problema a livello del terreno, a quest’ultimo bisogna indirizzare le maggiori attenzioni. Un elemento, che concorre in forte misura, è il non corretto funzionamento degli apparati radicali dovuto alla limitata disponibilità d’ossigeno. Le caratteristiche fisiche del suolo definiscono dette proprietà. Un terreno ricco di limo e sabbia, ad esempio, tende a trattenere l’acqua per tempi maggiori rispetto a uno più argilloso.

Quest’ultimo, infatti, essendo dotato di una certa plasticità, asciugandosi tende a fessurarsi permettendo all’acqua anche non superficiale di disperdersi.

Nei terreni argillosi è opportuno non ostacolare questa proprietà positiva con lavorazioni errate superficiali. La gestione della crescita esuberante dell’erba in primavera può essere risolta praticando l’inerbimento controllato. Nel caso dei suoli ricchi di limo e sabbia fine, le scelte sono più complesse. L’inerbimento non è in essi sempre consigliato, poiché, nel corso dell’estate, possono esservi maggiori casi di concorrenza idrica. La lavorazione come la zappatura è sicuramente negativa, essendo il terreno sempre troppo dotato d’acqua. Può essere invece valutata l’opportunità di rompere il terreno ad una certa profondità con gli erpici, con la consapevolezza che tale pratica comporta non pochi rischi. La migliore prevenzione è certamente consentire agli apparati radicali delle piante giovani di svilupparsi nel modo migliore, in funzione degli elementi selettivi presenti nel sottosuolo, che spontaneamente definiranno negli anni le migliori zone di sviluppo per le radici. La corretta gestione colturale nei primi cinque anni di vita del vigneto è pertanto un altro fattore molto importante.

Il ricorso alla distribuzione di nutrimenti per via fogliare è un’ulteriore possibilità. Questa deve però essere fatta nel modo più opportuno, vale a dire quando le piante non sono ancora in patimento e quindi sono in grado di assimilare le sostanze date traendo da esse beneficio. La distribuzione di ferro al terreno è, infine, anch’essa corretta, sebbene di più difficile applicazione, potendo la sua azione essere vanificata dalle condizioni non ottimali del suolo stesso.

Edoardo Monticelli

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